Calcio
Pogba e le accuse alla Juventus: “Non mi hanno aiutato…”
A 32 anni Pogba volta pagina e guarda al futuro con lo stesso entusiasmo di un ragazzo pronto a entrare in un vivaio. Il centrocampista francese Pogba, dopo aver lasciato la Juventus con l’amaro in bocca, si accasa al Monaco con un contratto di due anni e si prepara a scoprire la Ligue 1, fin qui assente dal suo lungo percorso tra Premier League e Serie A.
“Avevo chiesto aiuto alla Juve – ha spiegato il centrocampista in un’intervista televisiva alla trasmissione Setp-à-Huit, su Tf1 – ma non mi è stato concesso”.
Le accuse di Pogba alla Juventus
“Ho dovuto lasciare l’Italia anche perché i miei figli andavano a scuola proprio vicino al centro di allenamento. Ogni giorno passavo con loro e mi chiedevano quando avrei giocato di nuovo. Io non ce la facevo più. Non ce la facevo più, era troppo difficile. All’epoca chiesi aiuto, ad esempio un fisioterapista o un preparatore atletico, perché facevo ancora parte della Juventus. Ma non ho ricevuto nemmeno quello. Non erano davvero con me. E sentire questo è stato un duro colpo per me. Non capivo, non ero in guerra con loro”
Le minacce
Pogba è tornato anche sul caso del rapimento e delle minacce ricevute “È stato triste, erano persone che mi stavano a cuore. Li consideravo tutti fratelli. Nel quartiere ci frequentiamo tutti insieme, siamo cresciuti insieme… Non si può immaginare una cosa del genere. Il mio silenzio era per proteggere tutti. Mia moglie si è accorta che ero più distante, che c’era qualcosa sotto, ma ho cercato di tenerlo per me, sperando di risolvere il problema il prima possibile, di passare ad altro. Alla fine ho parlato di un investimento con il mio banchiere e il mio avvocato, per pagare quello che mi veniva chiesto. Poi sono crollato. Durante il periodo di digiuno del Ramadan, ho chiesto aiuto all’unica persona che poteva aiutarmi: Allah. Ho pregato e qualcosa è scattato. Ho deciso di parlare. Mi sono detto che, anche se fossi dovuto morire, questo denaro sarebbe dovuto andare ai miei figli, alla mia famiglia. Non li avrei buttati via. Se mi sono visto morire? Quando ti rapinano, quando ti puntano una pistola in faccia, non hai il tempo di pensare, dici di sì a tutto”.
Nell’inchiesta sulle minacce a Pogba è indagato anche il fratello, ma Paul sembra disposto a perdonare: ” Siamo in contatto. Abbiamo parlato tra noi e con la famiglia. Il sangue è sangue. C‘è una cicatrice, ovviamente, ma stiamo andando avanti. Solo il tempo potrà dare risposte in seguito. Al momento, tutto ciò che vogliamo è che la famiglia resti unita. È la cosa più importante. È difficile, non voglio mentire. Sono stato ferito. Sono un essere umano. Non è più come una volta, ma siamo in contatto. La preoccupazione principale è per la mamma, che “non ha più 20 anni”, e perché “molte persone possono morire per lo stress”.
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