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Igor Starr: da batterista a frontman, ma solo se ci credi davvero

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IGOR TUDOR (FOTO DI SALVATORE FORNELLI)

Tudor e la Juventus: ha senso continuare, ma devi crederci.

Nel mondo del calcio, e ancor di più in quello delle tifoserie, spesso si cercano i nomi altisonanti, i condottieri da prima pagina, i profeti del gioco che con un’aura magnetica dovrebbero infiammare le folle. Ma la storia, quella vera, ci sussurra una lezione diversa: la melodia vincente non sempre nasce dal solista acclamato. Talvolta, la forza risiede in chi, con costanza e un lavoro instancabile, tiene il ritmo, dona solidità e permette agli altri – in questo caso i giocatori – di brillare. Proprio come quel famoso “Ringo Starr” di cui si parla nella canzone dei Pinguini Tattici Nucleari: il batterista discreto, l’anima irrinunciabile di una meravigliosa band.

Ed è proprio in questo tipo di figura che la panchina della Juventus, oggi, può quantomeno sperare di intravedere un futuro più solido e duraturo di quello del recente passato. Perché c’è un uomo che di quel ritmo ha fatto la sua ragione di vita, un cuore profondamente bianconero che pulsa di dedizione: Igor Tudor. Permettetemi di chiamarlo, con affetto e la gratitudine che merita, Igor Starr. La sua riconferma non è più solo un’opzione da ponderare: è una necessità sempre più pressante, dettata dal campo… e dal tempo, che scorre in maniera inesorabile e che non concede più seconde possibilità.

Entusiasmo obbligatorio? No grazie

Per ogni tifoso juventino, il nome di Igor Tudor evoca ricordi profondi e indelebili. La sua figura di giocatore tanto tecnico quanto roccioso, capace di mordere la palla e arare il campo con una determinazione quasi feroce, è scolpita nell’anima di chi ama la Vecchia Signora. Un’epoca in cui la “juventinità” non era una parola vuota, ma un palpito incessante, un modo d’essere che risuonava nel cuore di ogni sostenitore.

Quando Tudor è tornato a Torino, lo scorso marzo, ha trovato una Juventus scivolata, per sua stessa ammissione, in un “buco profondo”, un baratro di incertezze e prestazioni indegne della sua gloriosa storia. Le “macerie” lasciate dalla precedente gestione pesavano come macigni sul morale e sulla classifica.

Nonostante ciò, il tecnico croato, oggi, è costretto a convivere con un paradosso amaro, quasi crudele: tanti di quelli che ora mostrano un gelido scetticismo per un’eventuale conferma di Tudor sono gli stessi che, appena un anno fa, promuovevano con entusiasmo quasi cieco la narrazione di un Thiago Motta “rivoluzionario”, le cui promesse si sono poi dissolte in risultati disastrosi. Quell’hype febbrile si è scontrato con una realtà ben diversa, lasciando un’eredità pesante e un’amarezza che non si può dimenticare. Tudor, invece, ha operato in un clima sobrio, senza clamori né roboanti annunci, eppure ha saputo riaccendere quella fiamma, seppur flebile, che tanti pensavano si fosse definitivamente spenta.

Tudor e la Juventus: non è solo cuore

Ha lavorato senza sosta, in silenzio, con la dedizione incrollabile di chi sa che il mondo non si regge solo sul talento, ma anche sul carisma, sulla grinta e sul cemento, ripartendo da quelle solide basi distrutte da chi lo ha preceduto. Non ha promesso rivoluzioni spettacolari, ha agito con la concretezza e pragmatismo. In quelle decisive nove giornate di campionato, ha ridato compattezza, ha infuso una mentalità più battagliera e ha riportato quella “fame” capace di fare la differenza, pur tra le mille fragilità di una squadra svuotata sotto tutti i punti di vista.

I numeri non mentono: ha preso una squadra decimata dagli infortuni – senza alcuna responsabilità – ha affrontato tre scontri diretti tostissimi, tutti in trasferta, contro Roma, Lazio e Bologna, nei quali la squadra non ha mai perso. Ha dovuto fare i conti con le squalifiche di Yildiz e Kalulu che hanno saltato due partite, reinventando una difesa a Venezia, con lacune tecniche evidenti. Nonostante questo scenario, Tudor ha salvato il salvabile, senza inventarsi nulla, semplicemente rimettendo i giocatori nei loro ruoli naturali, ma soprattutto tirando fuori quell’orgoglio e quel senso di responsabilità che la Juventus, storicamente, ha sempre saputo trasmettere ai suoi sostenitori e ai suoi tesserati. La sua gestione ha impresso una svolta decisiva, culminata con la vittoria fondamentale a Venezia e la conquista di un piazzamento nella prossima Champions League. Non solo un traguardo sportivo, ma un balsamo prezioso per l’anima bianconera, un segno tangibile di possibile ripartenza, oltre che una boccata d’aria decisiva per le casse bianconere. Ha dimostrato che anche senza essere il “Lennon” delle prime pagine, si può essere il “Ringo Starr” che fa battere il cuore della squadra. Ha restituito un pezzo di quella juventinità autentica che sembrava smarrita e che ai tifosi, dopo otto mesi di un’altra gestione, mancava disperatamente. Perché no, lui non ha bisogno di autoproclamarsi leader di un gruppo davanti alle telecamere… perché è lo stesso gruppo che, con il tempo, lo riconosce automaticamente come tale.

Un amore lento ma profondo, quello che conquista

I risultati ottenuti da Tudor non sono stati frutto del caso, ma la degna conclusione di un lavoro metodico, di scelte chiare e di una capacità di far girare al meglio l’intera “orchestra” bianconera. Tudor ha mostrato che si può essere decisivi anche senza i riflettori costanti o l’hype gonfiato, con la sola forza della competenza e della dedizione. È vero, non scalda i cuori con la passione vulcanica di un Conte, la contagiosa euforia di un Klopp o la genialità estetica di un Guardiola. Non è l’amore a prima vista che travolge e fa esplodere gli stadi al solo tocco. Ma Igor Starr è quella persona di cui ci si innamora piano piano, con ogni partita, con ogni punto conquistato, capace di costruire un legame profondo basato sulla fiducia e sui fatti, un amore che cresce e si consolida nel tempo, superando ogni scetticismo iniziale. La sua riconferma, che ancora non è ufficiale ma che diventa sempre più probabile con il passare delle ore, non sarebbe affatto un azzardo, ma il giusto riconoscimento per un lavoro che, pur risultando meno appariscente di quello di altri, è stata l’unica mezza salvezza di una stagione dannata per i colori bianconeri.

Tudor e la necessità di continuità… e che la Juventus ci creda davvero

La Juventus ha scoperto in Tudor non solo un allenatore, ma il suo Igor Starr: il professionista che dà il ritmo, che garantisce la solidità e che permette a tutti gli altri di brillare. La sua permanenza consentirebbe alla Juventus di essere l’unica grande squadra italiana, insieme al Napoli, a ripartire da un punto fermo in panchina, un’oasi di stabilità in un mare di cambiamenti. E la profonda convinzione – o quantomeno la speranza –  che, dandogli una squadra sana, con l’aggiunta di tre o quattro elementi importanti e mirati, Igor Starr potrebbe trasformarsi da batterista poco considerato a vero frontman, portando la Juventus a suonare una musica forse non ancora perfetta, ma decisamente migliore… a patto di crederci per davvero.

Perché sì, in un mondo di Conte e di Gasp, mi tengo Igor Starr.




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